Mosse comunicative

ATTACCARE, RIMPROVERARE:

Attaccare e rimproverare sono mosse dirette che possono essere interpretate differentemente a seconda del contesto. L’attacco indirizza il pensiero verso l’esterno, dunque all’avversario, mentre il rimprovero richiama contesti più chiusi, protetti, familiari e/o professionali. Attacco il concorrente equiparabile al “nemico” mentre rimprovero il nipote o riprendo il collega.

L’italiano, tendenzialmente non attacca ma se deve, lo fa con appositi giri di parole atti a camuffare ed addolcire entrambe le mosse. Fatte salve le dovute eccezioni (Balboni, Caon, 2015).

Il sudanese, sulla scia dell’italiano, non ama attaccare né rimproverare e, conseguentemente, non ama essere attaccato né rimproverato. Entrambe le mosse sono pertanto valutate negativamente, tanto in fase input quanto output.

DISSENTIRE, ESPORSI:

Il dissenso e l’esposizione diretta appartengono a tutto il genere umano con le dovute differenze culturali e sociali: mentre un inglese dissentirà velatamente approvando dapprima e dubitando a seguire “yes.. it could be… but”, il greco, amante della chiarezza, andrà diretto al punto anche esponendosi e/o dissentendo. Il sudanese percepisce negativamente entrambe le mosse. Il dissenso è ammesso ma “con grande cortesia”, inoltre sembrerebbero entrambi atteggiamenti da custodire nella ristretta cerchia privata.

Al contrario, l’italiano – che prima abbiamo definito non amante dell’attacco – dissente e si espone esplicitamente. Anche per difesa. Questa caratteristica accomuna maggiormente il mondo giovanile e quello mediatico: se il primo però richiama una cultura valoriale oppositiva (ad esempio al modello parentale, ecc), il secondo sembrerebbe seguire strategie pro audience e quant’altro possa tornare utile allo share.

ORDINARE E PROIBIRE:

L’ordine e la proibizione esplicita come le restanti mosse comunicative seguono un preciso schema sociale, mutevole di cultura in cultura. L’inglese in linea di massima ritenendo l’imperativo poco cortese, si nasconde dietro alla formula “polite”, “would you mind opening the door?/would you mind stop talking?”, mentre i greci, in linea con quanto già visto, sono più diretti e meno convenevoli.

I sudanesi ritengono entrambe le mosse inappropriate, soprattutto l’ordine: “mai di fronte a qualcuno, semmai è un atto più privato”. Mentre la proibizione sembrerebbe più accetta, “in relazione al ruolo e all’età”.

Gli italiani, similmente agli inglesi, tendono a mascherare l’imposizione dietro ad una formula suggestiva “che ne diresti di controllare se il pacco è arrivato in segreteria?” oppure “ti suggerisco vivamente di non trattare affari con quel personaggio!”, lasciando comunque intendere da aspetti non verbali la perentorietà celata nella cortesia espositiva.

INTERROMPERE:

L’interruzione in Sudan non è percepita né vissuta favorevolmente, essendo qualcosa “che non si fa”, che potrebbe infastidire l’interlocutore; si cerca di evitare, aspettando il proprio turno di parola, anche in caso di dissenso. Gli italiani al contrario, sono famosi, come del resto i greci, per questo fare caotico, a dire di taluni, “un po’ maleducato”. La tendenza all’interruzione tipica degli italiani tuttavia, come abbiamo già detto, spesso assume toni collaborativi con chi sta parlando, quasi per una co-costruzione del discorso (Caon, 2007).

DOMANDARE:

Per alcune culture domandare appare una mossa neutrale, come ad esempio l’Italia o l’Inghilterra, mentre per altre culture può rappresentare un ostacolo alla comunicazione. La cultura sudanese interpreta negativamente questa mossa comunicativa legata ad una ammissione di “non comprensione” e dunque lesiva del forte orgoglio nazionale. Gli italiani al contrario non oppongono particolari resistenze alla domanda “scusi, può riformulare il punto B”, talvolta ritenuta necessaria al fine di ottenere maggiori spiegazioni e approfondimenti o semplicemente, strategica al fine di guadagnare più tempo in ordine di elaborare la risposta.

RIASSUMERE E VERIFICARE LA COMPRENSIONE:

Riassumere un concetto appena esposto non è considerato negativamente dai sudanesi sempre tuttavia in riferimento “al modo, al contesto e all’interlocutore”. Questa mossa può essere definita neutra: sarà benaccetta, ad esempio, da parte del Professore o del datore di lavoro e non risulterebbe sgradita neppure se provenisse da un amico/parente.

La verifica su ciò che si è compreso assume toni diversi essendo, in generale, ritenuta negativamente dai sudanesi: è come se, nell’atto stesso di verifica, si nascondesse la certezza dell’incomprensione totale dell’interlocutore. Nel complesso, “se la persona ha il potere di farlo, esempio il Professore all’università che chiede allo studente di riformulare il concetto per verificare la comprensione, va bene”, lasciando intendere che non sia prassi comunque gradita nella normale conversazione peer to peer.

CAMBIARE ARGOMENTO, RIMANDARE E/O ABBANDONARE UNA DISCUSSIONE, TACERE:

Queste mosse possono essere interpretate come rinunciatarie e perdenti quando invece, modulate in base al contesto possono produrre ripensamenti, cambi di strategia e attenuare conflitti.

In Italia, cambiare argomento, rimandare e/o abbandonare una conversazione rappresentano, in linea di massima, strategie volte a camuffare una sconfitta comunicativa; tuttavia, se chi rimanda e temporeggia si trova in un ruolo dominante, tali mosse possono interessare anche posizioni di potere.

Il silenzio per gli italiani ha diversi significati in base al contesto. Non sempre questa mossa va considerata negativamente, a fianco del silenzio “asimmetrico”, legato ad una posizione di subalternità (silenzio reverenziale di massimo rispetto, il silenzio mortificato del segretario che con click involontario cancella l’agenda del capo, il silenzio rassegnato), esiste il silenzio quale atto di forza, pensiamo al silenzio assenso o al silenzio come implicito rifiuto (il capo che temporeggia e/o tace innanzi a particolari richieste derivanti da uno dei suoi inquadrati). Certe volte il silenzio assume solo un valore legato alla dimensione temporale: “taccio, ci penso, riformulo i concetti e poi, a mente fredda, darò una risposta”. In Sudan tutte queste mosse sono valutate positivamente: il sudanese non avrà problemi a cambiare argomento, rimandare la conversazione, e/o a tacere. Il silenzio in particolare, potrebbe celare anche una forma di rispetto, una ammissione di responsabilità, poiché per il sudanese “il silenzio può celare anche una scusa”.

COSTRUIRE INSIEME, COOPERARE, PROPORRE, SUGGERIRE, CONCORDARE E VENIRE A PATTI:

Questo gruppo di mosse assume toni positivi in entrambe le culture. Il neolaureato italiano alla ricerca del primo lavoro, nell’atto di compilare il cv, scriverà inequivocabilmente “orientato al team building”, “capacità al lavoro di gruppo”, “ottime qualità interpersonali” (pur non avendo mai lavorato prima) ecc. Queste mosse, rappresentando la chiave segreta per un “team working” ottimale e vincente, sono tutte ritenute altamente positive.

Il discorso rimane tendenzialmente lo stesso per il Sudan, dove questo gruppo di mosse comunicative viene valutato all’unanimità “utile” e “positivo”.

 IRONIZZARE E SDRAMMATIZZARE:

L’italiano può sdrammatizzare per alleggerire toni comunicativi pesanti, per ottenere coraggio, per darsi forza. L’italiano sdrammatizza a parole e a gesti. L’ironia invece, poiché se male interpretata sconfina nel sarcasmo, è meno utilizzata, soprattutto nei contesti formali. Tuttavia l’ironia, dal punto di vista psicosociale, se ben dosata, è creativa e apprezzata, mentre il sarcasmo è negativo. Ad ogni modo, se si è propensi a sdrammatizzare, attenzione a farlo con ironia. Quest’ultima, proprio per questa caratteristica ‘borderline’ che la lega al pericolo sarcasmo, è ritenuta assai rischiosa. Il discorso è il medesimo sia per quanto concerne il contesto formale che quello informale, ad esempio amicale.

Il sudanese raramente sdrammatizza e fa ironia. Quantomeno, “sdrammatizza a modo suo”. Richiamando quanto detto precedentemente sul modello IBM, la formula maggiormente in uso potrebbe essere “malesh”, “bukra” e “inshallah”: “mannaggia, mi dispiace” (malesh), “speriamo che tale evento si risolva, domani” (bukra), “Se Dio Vuole” (Inshallah). Questa forma mentis è tale grazie anche alla forte influenza esercitata dalla Religione.

DIFENDERSI:

L’italiano accusato dal proprio capo di aver commesso un errore, tenderà generalmente a difendersi avanzando timide scuse per poi, eventualmente, cadere in un silenzio profondo frutto del riconoscimento del proprio errore e della subalternità relazionale.

Il sudanese non sembrerebbe allontanarsi molto da questa realtà, “consapevole del potere assoluto nelle mani del superiore”. Tendenzialmente già poco affine alle scuse, nell’ipotesi di un ritardo clamoroso in ufficio, come anche ad un semplice appuntamento, potrebbe reagire giustificando il ritardo dovuto ad un evento al di fuori di ogni umana previsione (sveglia rotta, gomma dell’auto bucata, incidente, cellulare caduto nel tombino, necessità di ospedalizzare un parente, ecc), o semplicemente, tacendo sul rimprovero.