Tempo: formale, informale, vuoto/silenzio

Il tempo è una componente della vita umana che implica consapevolezza ed inconsapevolezza allo stesso tempo.

Per un sudanese, e più in generale per un musulmano, il tempo è una variabile appartenente a Dio, non gestibile dall’essere umano se non per quanto concesso dall’Alto. Ogni riferimento al tempo, allo scorrere dello stesso, a scadenze o ad eventi sono sempre accompagnati dall’espressione Inshallah, “se Dio vuole”, concetto che ricorda vagamente la forma italiana “a Dio piacendo”, amplificato tuttavia in modo rilevante in ambito musulmano.

Vedremo come l’inshallah è un’espressione che rispecchia un atteggiamento che in qualche modo si lega ad una modalità culturale tipica di alcuni gruppi sociali basata su di una più ampia dilatazione nel tempo delle proprie azioni e dei relativi risultati, nonché su una sorta di resilienza in caso di ritorni negativi. Dilatazione temporale e resilienza a loro volta si sostanziano in espressioni verbali come bukra, ossia il “rimando a domani”, e malesh, una sorta di “mannaggia”, ma anche di “pazienza”, o anche “non fa nulla, non c’è problema”.

Importanza e sacralità del tempo, da una parte; non gestibilità e apparente dilatazione improduttiva del tempo, dall’altra: agli occhi di un visitatore italiano ciò potrebbe rappresentare una sorta di paradosso.

In altre parole, il valore tempo in Sudan è sì tenuto in altissima considerazione, eppure (stranamente per uno straniero) non sarebbe gestibile dall’essere umano. Una tale situazione ovviamente può creare alcune incomprensioni comunicative interculturali soprattutto se l’evento comunicativo avesse luogo in aree più periferiche del paese, dove la dilatazione spazio-temporale si rafforza maggiormente rispetto agli usi della capitale Khartoum, in cui le consuetudini internazionali (e quindi una visione del tempo più rigida, come “corda”, cfr. Hofstede, 1991; Balboni, Caon, 2015) si diffondono più velocemente.

IL TEMPO RELIGIOSO:

La giornata sudanese gira attorno a momenti inderogabili di preghiera. Nei paesi musulmani ne sono previsti cinque e tale elemento può creare situazioni di disagio interculturale per uno straniero non soggetto a tale precetto e quindi all’obbligo di preghiera in orari fissi della giornata.

La prima preghiera è all’alba. La presenza di numerosissime moschee nel Paese rende quasi certa la vicinanza delle stesse alle abitazioni, agli hotel, agli edifici in genere. Inoltre, il concetto di preghiera nei paesi musulmani è fortemente legato all’idea della “chiamata a raccolta”, dell’azione di gruppo e perciò le moschee sono dotate di altoparlanti affinché il capo religioso possa appunto “chiamare i fedeli”.

Tale elemento, che di per sé si configura come un’alleanza valoriale molto forte tra tempo, religione e senso di comunità, potrebbe essere fonte di crisi interculturale per l’ignaro visitatore straniero che in qualche modo avesse programmato un risveglio mattutino ad un’ora più tarda.

È anche vero che, in linea con il modo di dire italiano, “tutto il mondo è paese” e, per dirla con le parole di un informant sudanese, “nell’ultima mia vacanza in Italia, la domenica mattina avrei dormito un po’ di più se non fosse stato per le campane a festa della chiesa all’angolo che mi hanno svegliato”.

In Sudan si rispetta il fine settimana islamico, quindi i giorni di festa sono il venerdì e il sabato. Tra i due, il venerdì è il giorno più sacro (un po’ come la domenica italiana): c’è meno gente per le strade, i negozi sono chiusi o aperti molto tardi e solo dopo le preghiere. La sera è dedicata al convivio. Il sabato è un giorno di maggiore operatività e, ad onta della festività, la vita gira in modo più regolare.

Più in generale, conoscere la struttura temporale del luogo (soprattutto se intrisa di senso religioso), magari in condizioni di permanenza lavorativa non breve, può agevolare molto la programmazione interculturale di una giornata di attività: un seminario formativo lungo, una giornata di negoziati, un giorno intero di visite o di incontri commerciali, una conferenza, sono tutti eventi che dovranno poter essere adattati alle necessità di preghiera locali (e da lì, alle abitudini temporali che ne conseguono, come ad esempio lo schema dei pasti), o quanto meno discussi preventivamente per definirne con chiarezza inizio, fine, pause, break, prima colazione, pranzi, cene.

Per fare un esempio, si registra in Sudan una notevole differenza rispetto ai tempi dei pasti consumati in Italia.

Una prima colazione italiana è, in genere, mattiniera, ha luogo prima di andare al lavoro, ed è più o meno abbondante a seconda degli usi. Nel paese africano, il pasto mattutino – il cosiddetto futuur – occorre tra le dieci e le undici. Esso è in genere salato, abbondante, e potrebbe essere considerato a metà tra la prima colazione e il pranzo di un italiano.

Quanto sopra comporta implicazioni rilevanti: un pranzo di lavoro (inteso come pasto del mezzodì) organizzata da un italiano in Sudan, con ospiti sudanesi, potrebbe registrare invitati o poco appetenti (perché hanno consumato il futuur prima) o, al contrario, molto appetenti (poiché, sapendo dell’invito “all’ora italiana”, essi hanno digiunato per ore – quindi dalla sera prima – per onorare l’invito).

LA PUNTUALITÀ:

Esiste una certa differenza in Sudan tra la gestione del tempo lavorativo e quello personale.

L’interpretazione del valore tempo in termini lavorativi è stato influenzato – a causa dei rapporti del Sudan con la comunità internazionale (e quindi con culture altre, come quelle occidentali) – ed ha progressivamente portato alla formazione di similitudini consolidate in termini di gestione temporale lavorativa tra sudanesi ed italiani. Ecco perché un appuntamento fissato per le dieci del mattino sarà prevalentemente rispettato e, anzi, l’interlocutore sudanese potrebbe ben sorprendersi in presenza di ritardo non preavvisato.

Diverse sono le condizioni nel tempo libero. Ricordando quanto sopra detto sul tempo religioso, specie riguardo la non gestibilità da parte degli esseri umani di un valore considerato divino, il ritardo sarà una condizione sperimentabile con maggior frequenza, e per questo da tollerare con maggiore apertura anche da parte di uno straniero.

Il tempo per i sudanesi non significa danaro o produttività. Il ritardo non è necessariamente concepito come maleducazione.

Una giornata di lungo viaggio per partecipare ad un evento sociale non necessariamente è considerata tempo sprecato.

Il far attendere un ospite ad un appuntamento non significa in Sudan espressione di potere.

LA PROGRAMMAZIONE:

Quanto detto in precedenza si riflette anche sulla programmazione degli eventi.

Il graduale accorciamento delle distanze spazio-temporali nel mondo, ad opera di una internazionalizzazione crescente di usi, costumi, abitudini, tendenze, estende i propri effetti anche in Sudan.

In ambito lavorativo, sarà quindi probabile una programmazione consapevole e a media scadenza di eventi, attività, visite, appuntamenti, ma in minor grado si assisterà ad una programmazione di lungo o lunghissimo periodo.

Sempre in ambito lavorativo, è importante non essere troppo rigidi in fase organizzativa: in Sudan, spostamenti, prenotazioni, documentazione a supporto, incombenze varie potrebbero spesso essere il frutto di decisioni all’ultimo momento. Tale elemento a sua volta è spesso causa di incomprensioni interculturali se l’interlocutore straniero ha in qualche modo programmato alcune attività sulla base della realizzazione di simmetriche attività da parte del suo interlocutore sudanese.

Ad esempio, la concessione di un visto per l’Italia, la partecipazione ad una conferenza, la prenotazione relativa ad un viaggio o ad un alloggio, richiedono spesso che i partecipanti si attivino contemporaneamente e, talvolta, risentono del citato diverso approccio culturale e possono creare dei problemi. Una tardiva programmazione in tal senso da parte sudanese, elemento del tutto possibile se non frequente (in quanto, come riferito da un informant “manca il pressing dettato dalla scadenza”), può creare nella controparte italiana una irritazione o peggio una sensazione di star interagendo con chi mostra poca professionalità, elemento che a sua volta può sfociare in conflitto interculturale.

IL TEMPO STRUTTURATO NELLE RIUNIONI:

L’approccio temporale sudanese non rigido, sacrale, tollerante, si riflette nella strutturazione delle riunioni di lavoro. Anche in questo caso, gli scambi internazionali nella progettazione di attività ed eventi hanno avvicinato le usanze sudanesi a quelle italiane o di molte culture straniere. Inizio, ordine del giorno, tempistica per prendere la parola, prosieguo, finale sono tutte fasi riconducibili ad un senso comune, riconoscibile ai più tra gli stranieri.

La conoscenza di alcune peculiarità sudanesi, tuttavia, potrebbe giovare all’incontro comunicativo:

l’inizio di una riunione non è mai fissato troppo presto. In Sudan non è uso programmare una riunione, per esempio, alle 8 del mattino. Una riunione di lavoro nel tardo pomeriggio sarà un’eccezione, poiché il pomeriggio è strutturato diversamente. Per un sudanese, esso è condizionato dall’importanza del ritorno a casa prima del tramonto al fine di onorare la preghiera.

Diverso è l’approccio temporale scolastico, specie per i più piccoli: in media l’inizio della mattina scolastica si aggira attorno alle 7.30 e, di recente, in Sudan vi sono stati ulteriori anticipi dovuti alle decisioni governative di portare indietro le lancette di un’ora definitivamente (e non sotto forma di ora legale) per guadagnare più luce nella fascia pomeridiana.

L’ORDINE DEL GIORNO:

Gli usi internazionali hanno indotto molte entità pubbliche e private sudanesi ad abbracciare il concetto di ordine del giorno, e quindi a dotarsi di una programmazione delle attività secondo una scaletta predeterminata da far seguire ai partecipanti. L’ordine del giorno non è un must né una costante. Per questo motivo esso è modificabile, cancellabile, commentabile o in ultima analisi può rappresentare solo un canovaccio teorico che nella pratica potrà essere cambiato dalle dinamiche della conversazione reale.

L’inizio di una riunione, comunque, specie negli ambienti più istituzionali e negli incontri più importanti ed allargati, viene con una certa regolarità occupato da alcune formule iniziali di preghiera, una sorta di ringraziamento e di richiesta di benedizione divina per i partecipanti e per i lavori.

La tempistica nelle riunioni, pur prevista come fissa, subisce variazioni con una certa frequenza. Talvolta incontri fissati ad un certo orario cominciano con un po’ di ritardo. Con più frequenza invece si assiste ad un allungamento imprevisto degli stessi, dovuto ad interventi lunghi e non preventivati da parte dei partecipanti.

Abbastanza in uso in Sudan è una sorta di riassunto post riunione di quanto detto o fatto, per lasciare traccia e definire punti per attività future.

PASSAGGI DI PAROLA E INTERRUZIONI:

La tempistica conversativa in Sudan non è caotica. Nelle riunioni si aspetta con pazienza la fine di un intervento e si richiede di partecipare a propria volta con un segno della mano. Non vi è interruzione né passaggi di parola bruschi, e parimenti l’interruzione non è considerata come una mossa offensiva. Si nota quindi una certa ambivalenza e la compresenza di più mosse comunicative, con una preferenza per il rispetto dei tempi dell’interlocutore. Altresì, notiamo una certa differenza con quanto si sperimenta spesso in Italia dove l’aggressività (o l’eccesso di assertività) comunicativa nel corso della riunione tende a sottrarre tempo all’interlocutore, attraverso la mossa dell’interruzione. La mossa dell’interruzione in Italia, a sua volta, potrà avere valenze diverse. Da una parte si potrebbe avere interruzione aggressiva, con l’intento di sottrarre tempo e argomenti all’interlocutore; dall’altra l’interruzione sarà stata solo strumentale, quasi ad aiutare l’interlocutore anticipando ciò che vuole dire in una sorta di collaborazione comunicativo-relazionale.

Medesima situazione nelle interruzioni in conversazioni comuni. L’italiano spesso partecipa al dialogo interrompendo, in fondo come atto di supporto al suo interlocutore (“ti dimostro che sto capendo, anticipandoti, quindi interrompo”). Il sudanese non è abituato a tale modalità.

Di base, il sudanese predilige l’armonia nel momento comunicativo, e ciò influenza la sua attitudine verso l’interlocutore che viene rispettato nei suoi tempi di parola e con il quale si collabora alla ricerca di contenuti condivisi. Come detto, un intervento in una riunione, conferenza, evento pubblico a sua volta potrebbe essere molto lungo, e andare a danno della tempistica concessa ad altri partecipanti. Una caratteristica, questa, che andrebbe inquadrata nel più ampio spettro di un peculiare individualismo sudanese, che convive in armonia con la dimensione sociale musulmana prevalentemente collettivista (Hofstede, 1991).

IL TEMPO VUOTO: IL SILENZIO

Per un italiano, il silenzio è mediamente un fattore che provoca abbastanza disagio. Un silenzio prolungato viene percepito come sintomo di un problema comunicativo e a cui si mette riparo con conversazioni anche molto leggere.

Anche in Sudan non vi è un particolare apprezzamento del silenzio. La natura sudanese è cordiale, gioviale, conversativa e dunque anche nel paese africano il tempo vuoto in compagnia verrà riempito dialogando.