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RELAZIONI LAVORATIVE PRESSO ISTITUZIONI ITALIANE:
Il primo evento sul quale abbiamo voluto indagare è stata la strutturazione delle relazioni di lavoro all’interno del contesto di una istituzione italiana in Sudan, come ad esempio gli uffici dell’Agenzia per la Cooperazione Italiana allo sviluppo (AICS) a Khartoum. Nello specifico, come viene considerato il lavoro degli italiani sul campo da parte dei sudanesi e che valore viene attribuito a determinate regole di funzionamento al suo interno. Per esempio, ci siamo domandati se il rapporto di collaborazione che si è costituito nel tempo sia ritenuto un rapporto di sottomissione, di dipendenza o di autonomia.
A questo proposito, alcuni informant locali ci riferiscono che i rapporti di lavoro presso la Cooperazione Italiana sono considerati in modo positivo, che a livello governativo sudanese c’è consapevolezza sull’importanza della cooperazione internazionale e che tale positività favorisce l’instaurarsi di vere e proprie dinamiche di interdipendenza.
Tra le varie testimonianze positive, riportiamo di seguito un estratto da un’intervista che ci sembra particolarmente significativa in questo senso: “secondo me la percezione della cooperazione è positiva, vissuta come un fattore di miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. La cooperazione è un ponte per colmare le problematiche nel contesto locale. I sudanesi non la vivono come sottomissione. Non c’è un reale dualismo tra beneficiario e donatore. A livello istituzionale c’è una grossa partecipazione per raggiungere gli obiettivi che molto spesso partono dal loro stesso input.
Gli interventi a beneficio delle popolazioni locali sono stati sempre riconosciuti. I partner che hanno dato supporto sono poi diventati amici del Sudan e dei sudanesi. Nei loro confronti viene dimostrata sempre molta riconoscenza.”.
Riteniamo, inoltre, fondamentale sottolineare la relazione di fiducia che si è instaurata tra la Cooperazione ed i Ministeri sudanesi in un campo molto delicato e con propri specifici valori culturali di riferimento come può essere il settore socio-sanitario. Riporta ancora un informant: “L’aspetto più difficile per fare cooperazione dipende sicuramente dal settore d’intervento. Per me quello prioritario è il settore sociale, dove è difficile stabilire una fiducia con la controparte.
Lavorare in questo settore è affare complesso anche per la sensibilità delle questioni che si toccano che non sono convenzionali e che sono talvolta lontane dalla cultura sudanese. Il caso sanitario potrebbe essere considerato “un’invasione culturale”. Sicuramente alla base ci deve essere una fiducia reciproca per ottenere buoni risultati in termini di cooperazione”.
IL CORTEGGIAMENTO:
Gli uomini e le donne non possono toccarsi in pubblico. Si supplisce con sguardi di intesa che fanno comprendere all’uomo che la donna è interessata; è opportuno ricordare, tuttavia, che le donne non formuleranno dichiarazioni di amore apertamente; in questo modo si mantiene il rispetto per il senso di pudore e della dignità, così come possiamo leggere nelle seguenti testimonianze di diversi informant: “Il modo di “flirtare” da parte delle ragazze è questo: cercano di farsi sempre notare dai ragazzi. Le ragazze però non si dichiareranno mai esplicitamente, altrimenti saranno considerate senza dignità ed addirittura potranno “spaventare” il ragazzo”. “Le ragazze sono timide e non si “espongono” […]. Poi la ragazza inizia a mostrare segni espliciti al ragazzo, in modo da fargli capire che, se mai lui le chiederà qualcosa, lei sarà disposta ad accettare”.
RELAZIONI DOCENTI-STUDENTI DI ITALIANO:
Uno dei campioni da noi ritenuto significativo nella nostra indagine sulla comunicazione italo-sudanese, era il numeroso gruppo costituito dagli studenti dei corsi di italiano. In Sudan ad oggi, il numero più significativo è seguito da una docente italiana di sesso femminile.
Per indagare la prospettiva degli studenti abbiamo posto loro la seguente domanda: “Com’ è la relazione con il docente? Formale o informale? Si dà del tu o del lei?”
A questo proposito gli studenti del corso di italiano ci dicono che la docente preferisce un rapporto tra pari dove si preferisca l’uso del ‘tu’ piuttosto che del ‘lei’. Nonostante la richiesta, i ragazzi ci hanno spiegato che preferiscono usare comunque un appellativo formale pur mantenendo un rapporto con il docente meno formale rispetto a quelle che hanno in altri insegnamenti con docenti autoctoni (ad esempio a scuola o all’università).
In linea con questa maggiore informalità in ambito italo-sudanese, gli studenti si sentono più liberi di comunicare (magari solo parzialmente) ciò che pensano.
Per quanto riguarda, invece, la modalità di svolgimento della lezione, gli studenti spiegano che, a differenza di altre discipline, è consentito fare domande nonostante le richieste siano sempre precedute da momenti di silenzio in cui probabilmente gli studenti valutano se e come porre le domande stesse.
L’insegnante, inoltre, ci dice che “gli studenti si mettono in gioco ma diverse volte – anche se l’attività non è stata capita – invece di chiedere di rispiegare c’è in classe un momento di silenzio”.
In altre parole, e in linea con quanto detto nel capitolo dedicato ai valori e al concetto di dignità, talvolta gli studenti sudanesi preferiscono non manifestare apertamente il fatto di non aver capito, piuttosto di mostrare di non aver compreso la spiegazione.
Per quanto riguarda la metodologia didattica da adottare in classe, la docente ci fa notare una certa diversità dal sistema italiano. In Sudan, gli studenti sono abituati ad un metodo di apprendimento più traduttivo e mnemonico laddove quello italiano (almeno nelle ultime decadi) risulta essere più comunicativo. Questa differenza metodologica, porta ad alcuni imbarazzi nella proposta di una didattica alternativa così come si riporta nel seguente estratto da un’intervista: “la sensazione è che gli studenti sudanesi capiscano la necessità di uscire dal meccanismo puramente mnemonico-grammaticale ma trovano difficile uscire dalle loro modalità di studio, considerata anche la modalità di insegnamento a cui sono abituati”.
Uno degli intervistati ci spiega che la lezione tradizionale all’università si svolge con la seguente modalità: “si ascolta in silenzio, si prendono appunti, non si fanno domande”.
Non è raro trovare classi di scuola, specie primaria, molto affollate. Ciò accade molto nelle aree più periferiche dove scarseggiano professionisti dell’educazione disponibili.
I colloqui con gli insegnanti vengono programmati in anticipo e, a differenza dell’Italia, di norma non sono interattivi nel senso che il docente espone alla famiglia l’andamento dei figli ma i genitori non sono soliti porre particolari domande.
LA VISITA DAL MEDICO:
Esistono strutture mediche pubbliche e private all’interno del Paese.
Alcuni intervistati raccontano che non vi è ancora una sistematica educazione alla salute né una vera e propria cultura della prevenzione.
Come in Italia, negli ospedali pubblici, per essere visitati è possibile fare ore di attesa.
La sensazione spiegata da alcuni informant italiani che hanno interagito con le strutture mediche pubbliche sudanesi è quella di trovarsi in un’area abbastanza caotica, dove la comunicazione, i turni, il dialogo con il medico, la visita stessa possono diventare elementi complessi e forieri di incomprensione interculturale.
Vi è una certa tendenza ad automedicarsi sia con metodi legati alla medicina tradizionale (piante, erbe, fiori ecc.) sia tramite l’uso di farmaci magari consigliati dal farmacista di fiducia, ma non sempre eziologici per la natura del problema. In linea con la citata non diffusa cultura della prevenzione, è possibile che in ospedale un paziente arrivi con uno stadio della malattia ‘avanzato’).
Più in generale, le prescrizioni delle terapie non vengono sempre rispettate alla lettera, e non sembra esserci un’attenzione nel seguire con costanza una cura, anche dopo aver subito un intervento.
Nelle precedenti pagine, spiegavamo tale scenario con un ipotizzato approccio fatalistico del sudanese nei confronti della malattia, vista come accadimento voluto o meno dall’Alto, da accettare per lo più con resilienza. Tale atteggiamento potrebbe risultare incomprensibile per un italiano che invece tende a porre nel confronto immediato o rapido con un medico (oltre che nella prevenzione e nello stile di vita sano), le forme di attenzione alla malattia.
Interessanti le parole di un informant medico che rivelano quanto la religione possa essere fondamentale nella vita quotidiana delle persone. “Per spiegare la scansione della giornata e degli orari in cui è necessario seguire le cure, soprattutto nelle periferie, alcuni medici ricorrono alla scansione giornaliera delle preghiere. In questo modo si dà al paziente un possibile quadro di riferimento con il quale impostare la sua terapia”.
Diverso il discorso per i più giovani, tra i quali, come ci è stato riferito da un informant, si sta diffondendo la moda dell’autocurarsi comprando farmaci generici da banco.
Le donne infine, desiderano essere visitate da medici dello stesso sesso, in particolare per quanto riguarda le visite più intime, come quelle ginecologiche.
IFTAR (O ROTTURA DEL DIGIUNO):
L’Iftar, pasto serale consumato dai musulmani quando si giunge alla preghiera del tramonto, ha luogo durante il mese sacro di Ramadan, il mese di avvicinamento a Dio. Il Ramadan è un periodo di preghiera di durata pari a 30 giorni nei quali i fedeli si astengono dal bere, dal mangiare e dall’avere rapporti sessuali dall’alba al tramonto. Il digiuno durante il Ramadan è considerato uno dei pilastri dell’Islam e rappresenta un momento di purificazione del fisico e dello spirito tramite lo sforzo fisico del digiuno.
L’Iftar, la sera, è un vero e proprio momento di festeggiamento nel quale si può mangiare e bere.
Prima di mangiare, secondo il Corano, è necessario recitare una preghiera con la quale il credente rimette alla compassione di Dio il giudizio il suo sforzo per aver digiunato
Secondo la tradizione, il profeta Muhammad ruppe il digiuno mangiando qualche datteri: di conseguenza per celebrare l’Iftar si ritiene che sia preferibile spezzare il digiuno mangiando dei datteri in numero dispari. In modo ancora più particolareggiato, abbiamo notato due modalità di procedere con l’Iftar. La prima, più classica, attraverso la quale effettivamente il fedele rompe il digiuno con pochi datteri e dell’acqua, effettua la preghiera del tramonto, e solo dopo consuma il pasto. La seconda, meno formale, secondo la quale allo scoccare del momento del tramonto, il fedele può cominciare direttamente a consumare il pasto.
Le persone durante la festa sono solite mangiare insieme, in casa o fuori casa, per celebrare l’importanza dell’evento, il sentimento conviviale ed inclusivo e la solidarietà. Si ritiene, infatti, che offrire cibo a qualcuno durante l’Iftar sia un gesto caritatevole e di affetto verso il prossimo, in particolare nei confronti dei meno abbienti.
L’Iftar è infatti un vero e proprio evento sociale che coinvolge intere famiglie, amici e comunità. Esso è anche uno dei momenti di maggiore vicinanza tra il sudanese e lo straniero, molto spesso invitato per l’occasione a condividere il momento di gioia reciproca mangiando assieme.