Aspetti grammaticali

SUPERLATIVI E COMPARATIVI:

In linea di massima i sudanesi, così come gli italiani, non hanno ostacoli nel ricorrere a superlativi e comparativi, sia nelle normali conversazioni, per descrivere luoghi, oggetti o persone, sia nelle presentazioni (“mashuur/a giddan”, “gamiil/a giddan”, etc: molto famoso/a, molto bello/a ecc), formali e/o informali. Il sudanese è, generalmente, piuttosto fiero e orgoglioso, ragion per cui non mancherà di utilizzare entrambi, superlativi e comparativi, come non mancherebbe di apprezzare una qualche forma di complimento generale, rivolto al paese, alla cultura, non ultimo, a lui precisamente diretto.

TEMPI VERBALI:

Non si evincono particolari differenze in uso tra sudanesi e italiani. In linea di massima, sono adoperati tutti i tempi verbali, seppur con delle normali differenze tra formale e informale e tra arabo standard e arabo dialettale. Il “kul/i” “mangia” diretto ad un bambino/a o il “maashi” (andiamo!/va bene) diretto ad un intimo, è in uso tanto in Sudan quanto in Italia. Mentre però, l’arabo standard soprattutto in uso nel mondo accademico e/o massmediale, adopera ogni forma verbale nella sua apposita costruzione grammaticale, l’arabo dialettale “usa di più sempre il presente ed è comunque più snello”.

Va invece evidenziata una particolarità per quanto concerne l’uso del futuro. Dobbiamo partire dal presupposto che nell’intercalare sudanese إن شاء الله Inshallah è in linea di massima, il termine più adoperato a fine frase. A maggior ragione quando si parla del futuro. Il sudanese “non sapendo cosa sarà del futuro perché non sa cosa succederà domani”, a fine frase è solito aggiungere (إن شاء الله Se Dio vuole), per esprimere la speranza che l’evento, sotto guida di Allah, possa avverarsi, a Dio piacendo1. Anche per il tempo modale futuro, emerge la differenza tra arabo standard e arabo dialettale, preferendo il secondo l’uso della forma al presente, magari seguita da “bukra” (ana maashi bukra …, inshallah: trad. let. Io cammino/vado + domani, arabo dialettale in uso per dire “domani andrò .. se Dio vuole”).

NEGAZIONI:

Il modo in cui un sudanese intende la negazione è un fattore molto importante da conoscere, al fine di poter significare taluni eventi che altrimenti potrebbero essere mal interpretati. Mentre, nel complesso, il rapporto tra gli italiani e la negazione è legato più a caratteristiche personali – per quanto l’Italia non appartenga alla schiera dei paesi “a negazione diretta” – per il sudanese “non è educato usare il no”. La negazione secca è percepita come una profonda mancanza di rispetto, ragion per cui, un sudanese tendenzialmente potrà dire sempre di sì e poi esternarti il no a mezzo dell’operato concreto. In generale, per i sudanesi, rispondere negativamente “rappresenta mancato rispetto”, negare è ritenuto “rude e innaturale”, dunque “maleducato”.

Questa difficoltà alla negazione sembrerebbe una variabile di stampo culturale, difficile da sradicare e, al contempo, importante da consapevolizzare per evitare di trovarsi in situazioni imbarazzanti derivanti da un impegno preso, senza che poi venga rispettato nelle modalità o nelle tempistiche pattuite.

La difficoltà sudanese alla risposta negativa emerge dall’esempio canonico della richiesta di informazioni stradali: “si percepisce proprio una difficoltà a dire no, non so, quindi è possibile che ti dicano sì facendoti forse sbagliare strada”.

TU/LEI E FORME DI CORTESIA:

Come abbiamo avuto modo di vedere nel paragrafo dedicato alla distinzione tra “Formale e informale”, la lingua araba non contempla il “lei”, adoperando, in linea di massima, il “tu”. Questa tendenza trova una eccezione specifica nel caso in cui si debba interloquire con un personaggio di particolare rilievo (Presidente, ecc) che sarà interpellato con il “voi”, seguito dal verbo appositamente declinato.

Ad eccezione di questo caso specifico, il “Lei” – che in talune culture, inclusa l’Italia, serve a demarcare il formale dall’informale e viene utilizzato come segno di rispetto e cortesia (il giovane che interloquisce con l’adulto, ecc) – trova in Sudan valide alternative nel ricorso agli appellativi. Ad esempio, “hadratak/ik” (Signoria Vostra) può essere diretto ad un Professore ma anche un anziano/a, “sa’datak/i” (Sua eccellenza) rivolto ai militari (anche in pensione) cui segue il verbo declinato in seconda persona singolare (maschile/femminile). Tra le altre forme di cortesia, esclusa la generosità sudanese già discussa precedentemente e riassunta nella formula “tfaddal/i”, il Sudanese esprime la propria gentilezza e rispetto, avanzando complimenti anche nei saluti, nel rispetto massimo e assoluto dei propri genitori, e in atteggiamenti generalizzati di pacifica e talvolta curiosa accettazione dello straniero. Anche l’Italia è famosa, notoriamente, per una tendenza favorevole al salamelecco, non a caso, il termine “salamelecco” ha una chiara matrice culturale arabeggiante nella radice stessa “salaam – lek” (che la Pace sia con te), noto saluto sudanese (arabo) di profondo rispetto, pace e amore.

Vi è una differenza tra le due culture in questione: mentre l’Italia risulta tendenzialmente ossequiosa anche nelle scuse, il sudanese “si scusa ma si giustifica sempre”, perché in linea generale, “ha difficoltà nell’avanzare scuse dirette”. Dobbiamo sempre tenere a mente come il sudanese (musulmano) leghi qualsiasi atto/fatto al volere di Dio (Inshallah) e difatti, nel novero dei termini in uso comune, accanto a إن شاء الله Inshallah (Dio Volendo), الحمد لله (al-ḥamdulillāh, Grazie a Dio), ما شاء الله (ma shaa’ Allāh, a Dio Piacendo), non mancherà mai معلش (maˁleš, una via di mezzo tra scusa, pazienza e non fa niente).

Questa caratteristica culturale, ha originato la simpatica sigla “IBM” (Obayani, 2014), nata in Libia e diffusa a seguire in tutto il Nord Africa e Middle East, stante per: Inshallah (se Dio Vuole), Bukra (domani in arabo dialettale), Malesh (pazienza, non fa nulla). Si evidenzia che, per quanto il modello – inneggiando ad Allah – sembrerebbe rappresentare una realtà prettamente musulmana, in realtà parrebbe in uso (culturale) anche tra le minoranze religiose (Copti, ecc).

Volendo concludere con un breve riferimento culturale, riprendiamo anche qui le formule italiane “ci vediamo domani, se Dio vuole/a Dio piacendo/Dio permettendo”, che legano il concetto del futuro anche prossimo, alla sfera aleatoria e non scibile del volere Divino.

1“A Dio piacendo”, è un’espressione sempre più in disuso ma che rivela come anche nella lingua italiana vi sia un importante influsso della religione.