Politicamente corretto/scorretto

L’accettazione della diversità, la tolleranza, l’atteggiamento non aggressivo nei confronti di tematiche più rischiose in termini interculturali non significa automaticamente che se ne voglia o se ne possa parlare liberamente.

Al contrario, in alcuni paesi vi sono temi ed argomenti dei quali si conversa a fatica o di cui non si deve parlare.

Vediamone alcuni.

NUDITÀ, INTIMITÀ:

Come in precedenza accennato, la sessualità non rappresenta per la società sudanese un elemento conversativo di particolare fascino. Argomenti ad essa collegati non saranno oggetto di dialogo. Talvolta nemmeno di accenno.

Più in generale il nudo, il sesso, e tutto ciò che in qualche modo riguarda l’intimità corporale non sono argomenti di conversazione: imbarazzano, provocano disagio e restano confinati nella privacy dei pensieri di ciascuno.

MALATTIA:

Se è vero che per le malattie comuni e correnti il sudanese ricorre al medico (in minor misura) e al farmacista (con maggiore frequenza, quasi nell’intento di favorire un “fai da te” curativo), le malattie più gravi non sono oggetto di naturale conversazione. A differenza dei dialoghi osservabili in Italia – pensiamo alle sale d’attesa dei presidi medici dove perfetti estranei in attesa dei propri turni di visita si raccontano con dettagli le reciproche condizioni di salute, senza troppi pudori – in Sudan la malattia grave non è oggetto di frequente condivisione.

Il silenzio cala maggiormente in presenza di malattie gravi (cancro, HIV), o quando si sperimenta in famiglia la presenza di un disabile (soprattutto se mentale). Nelle aree periferiche rispetto alla capitale Khartoum, o nei villaggi e nelle aree più remote, la malattie talvolta si mescolano con il campo della superstizione, con il risultato che un malato grave o un diversamente abile potrebbe in qualche modo essere considerato vittima di cause negative, esogene, soprannaturali.

Ancora più in generale, il concetto stesso di malattia è il più delle volte legato dal sudanese ad un’eventualità divina, sulla quale l’essere umano non ha presa. La malattia diventa così un effetto del volere divino (magari una punizione di Dio).

Da ciò si spiega perché il concetto di prevenzione medica non è molto diffuso in Sudan, elemento che agli occhi esterni può che apparire dannoso e autolesionista.

PUBBLICO E PRIVATO: LA QUESTIONE MORALE

Come nella quasi totalità dei paesi al mondo, il malaffare è una piaga che danneggia lo stato e i cittadini, specie le fasce della popolazione più vulnerabile.

Il Sudan non si sottrae da questa sciagura e testimonia livelli di interconnessione non sempre chiara tra interessi pubblici e privati. Il sudanese non ama parlare di ciò apertamente.

La questione morale, in generale, in Sudan non è un argomento facile da affrontare, a tutti i livelli, anche tra la popolazione più semplice, contrariamente all’Italia dove il tema sarebbe invece un “classico” da chiacchiere al bar.

LA QUESTIONE TRIBALE E QUELLA RELIGIOSA:

Come accennato in precedenza, la stratificazione sociale in Sudan porta ad evidenziare l’esistenza di un livellamento societario che risente di appartenenze a famiglie, clan, tribù, etnie.

I sudanesi non amano rimarcare tali differenze, evocando al contrario una unità-paese più auspicata che effettiva.

Di base, la questione tribale in Sudan esiste; apparentamenti importanti come nel caso dei matrimoni risentono con una certa frequenza di scelte basate su una comunanza sociale (etnica, ma anche socio-economica) che limita o orienta l’individuazione dello sposo o della sposa.

Anche la tematica religiosa non sfugge al paradosso del politically correct, specie in termini comunicativi. Il Sudan si propone (anche costituzionalmente) come paese in cui le diversità religiose coesistono pacificamente. Ciò è vero: la maggioranza di musulmani in Sudan non ostacola l’esercizio di fedi di altra natura.

È un fatto tuttavia che la proliferazione di credo e luoghi legati a religioni diverse da quella musulmana non è un’eventualità in Sudan accettata con totale passività. La Sharia in Sudan regola la maggior parte degli aspetti giuridici e sociali della vita dei cittadini. È naturale che l’appartenenza a fedi differenti da quella musulmana comporti una qualche frizione nel dispiegarsi delle attività pratiche quotidiane, elemento probabilmente inevitabile. Pensiamo ad esempio alla non facile convivenza delle festività islamiche settimanali (il venerdì e il sabato) e alla sacralità cristiana della domenica, considerata nei paesi musulmani un giorno lavorativo (il nostro lunedì, per intenderci).

Anche in questo caso, il tema non è oggetto di facile conversazione e il sudanese, specie a livello istituzionale, non ama che esso possa acquisire connotati negativi verso l’esterno, verso l’opinione pubblica.

Di base, il sudanese non ama ironizzare sulla questione religiosa, soprattutto sulla fede islamica: sarebbe una mancanza di rispetto verso Dio.

RELIGIONE:

La dimensione religiosa, in tutti i paesi del mondo, è rilevante, presente in maggiore o minore misura nella vita degli esseri umani. Le differenze principali risiedono nel grado di pervasività sulla società, nella commistione o meno con gli aspetti quotidiani e quindi la conseguente mescolanza tra la vita spirituale e quella ordinaria.

Il cosiddetto “secolarismo” in molti paesi separa la religione dagli aspetti della vita sociale, giuridica, culturale di un essere umano e fanno sì che la dimensione spirituale appartenga all’intimità del singolo o del gruppo che volontariamente si riunisce per coltivare tale dimensione.

Al contrario, in alcuni credo come quello musulmano, la presenza religiosa irrompe nella vita quotidiana e, in maggiore o in minore misura, incide sui comportamenti e sulle azioni degli esseri umani.

In Sudan la dimensione religiosa accompagna la vita del cittadino giorno e notte, dall’alba al tramonto, cadenzando azioni, regole, aperture, chiusure, obblighi, diritti e doveri.

La dimensione religiosa permea la vita del sudanese in tutto e per tutto: nei saluti e nelle espressioni verbali, negli auspici, negli affari, nelle tempistiche, nei luoghi, negli spazi, nelle relazioni in genere.

In Sudan come detto vige la legge islamica, la Sharia. Non abbiamo la pretesa di ridurla a poche righe, ma sembra quanto mai opportuno in questo lavoro dedicarvi un approfondimento specifico ad uso pratico e istruttivo del lettore.

Il Sudan è anche paese di numerose sette sufiche.

Il Sufismo è diffusissimo in tutti gli ambienti sociali e, probabilmente, esso ha permesso l’amalgama più morbido tra Islam e mondo africano nelle decadi passate. Il Sufismo è considerato un Islam più esoterico, estatico. La preghiera, i canti, i mantra, le danze sono predilette dai membri delle sette sufi, e praticati in genere nel giorno sacro del venerdì.

Ciò che rileva nella presenza del Sufismo in Sudan è la portata di non violenza e di resilienza che ispira i fedeli. Nel Sufismo si pratica “l’amore per Dio”, laddove un Islam più ortodosso predilige il concetto di “timore di Dio”.

Il contributo del Sufismo nell’aver forgiato negli anni una popolazione cordiale, ospitale, amichevole, inclusiva, in Sudan può essere considerato fondamentale.