Testa ed espressioni facciali

I visi dei serbi (e in generale degli ex jugoslavi) esprimono spesso una certa impassibilità. Trasmettere attraverso le espressioni del volto il proprio stato d’animo è considerato poco adulto in un ambito lavorativo. Nelle situazioni meno formali, tuttavia, i serbi possono rivelare un’espressività ricca e molto “mediterranea”, sia nei contesti lavorativi (per esempio, durante una pausa caffè; negli uffici c’è spesso un cucinotto) che in quelli amicali o familiari. Questo riguarda tanto le emozioni positive che quelle negative.
In Serbia di solito lo sguardo è molto diretto, soprattutto tra persone dello stesso sesso, mentre tra uomini e donne, quando non c’è confidenza, come nei conteti professionali, guardarsi a lungo negli occhi non è buona norma. A volte si evita lo sguardo diretto tra persone che ricoprono diverse posizioni nella scala gerarchica, da chi ha più potere verso chi ne ha meno e viceversa. Questo atteggiamento non si deve interpretare come assenza di franchezza, ma è un fatto legato alla tradizione, in base alla quale lo sguardo diretto si evita per rispetto e riservatezza.

I serbi, a differenza degli italiani, hanno una minore tendenza a sorridere: la loro normale espressione è seria e composta. Nella loro cultura il sorriso è più destinato alle persone con cui si ha un rapporto di amicizia e a cui si ha qualcosa da comunicare. Non si sorride mai senza un motivo, almeno in linea di massima. Non è frequente incontrare personale sorridente nei negozi, nei ristoranti e negli uffici, soprattutto se over 40-45. C’è tuttavia un forte cambiamento generazionale nel modo di approcciarsi, per cui un certo “marketing del sorriso” all’occidentale sta emergendo. Commesse e commessi giovani, baristi, camerieri, portieri di albergo (ecc.) hanno spesso un modo di trattare con il cliente simile a quello che si trova in Italia o in un altro Paese europeo, soprattutto nelle città principali e più ricche. Il passaggio a questo stile di comunicazione è stato indotto dal processo di privatizzazione nel terziario.

(Guglielmi L.)