Il tempo assume in India contorni piuttosto sfocati. Presente, passato e futuro non sono tre entità chiaramente definibili. Ad esempio, sia che si faccia riferimento a “domani” o si parli di “ieri”, il termine utilizzato sarà comunque kal: saranno poi il tempo del verbo e il contesto a fornire maggiori dettagli.
Un altro elemento per capire come gli indiani si rapportino al tempo è il rapporto che essi hanno con la storia. Tutto ciò che è accaduto, spesso anche ciò che non è accaduto, come ad esempio gli eventi mitologici, non viene collocato su un’immaginaria linea del tempo che conduce fino ad oggi, ma piuttosto incluso in una realtà, quella del tempo, appunto, che più che procedere in avanti, si espande. Tradizionalmente, i cicli di espansione (manifestazione) e dissoluzione portano ad una concatenazione di ere cosmiche e ad un’inevitabile ripetizione dei cicli. Tutto quello che è accaduto accadrà nuovamente, tutto quello che accadrà è già accaduto. L’induismo suddivide ciascuna era in quattro periodi che, analogamente a quanto accadeva per gli antichi greci, si caratterizzano per il livello di virtù – calante – e di degenerazione – crescente – che caratterizza il mondo e gli uomini. Al momento ci troviamo a vivere nella più cupa età del mondo, il kaliyuga, il tempo della menzogna, del decadimento e della corruzione. Al termine di quest’era il ciclo sarà concluso e un altro seguirà.
La percezione del tempo, proprio perché in espansione piuttosto che in avanzamento, è diversa da quella occidentale: più elastica e talvolta confusa.
Tempo formale:
Anche negli ambienti di lavoro, così come nel tempo libero e in famiglia, il tempo mantiene la sua caratteristica elasticità. Inoltre, il tempo in ambiente lavorativo o formale assume una valenza strettamente correlata alla gerarchia e al potere. Far aspettare qualcuno significa confermare o manifestare la propria autorità. L’attesa in anticamera, anche se non necessaria, è una costante nel caso in cui si debba incontrare qualcuno “che conta”. Allo stesso modo, farsi attendere significa mettere in chiaro i rapporti gerarchici tra noi e coloro che faremo attendere. Anche in questo caso è estremamente importante sapere con chi abbiamo a che fare: far attendere una persona il cui status è “superiore” al nostro potrebbe costituire un errore piuttosto grave e avere ripercussioni negative.
In generale il ritardo è tollerato e in molti casi viene messo in conto viste anche le non sempre ottimali condizioni delle vie di comunicazione e del costante traffico intenso. Richiedere puntualità, generalmente apprezzata in occidente, è legittimo. Tuttavia, essere consapevoli che anche la puntualità richiesta deve essere “elastica” è la mossa giusta per evitare arrabbiature inutil.
Tempo informale:
La caratteristica “elasticità” (IST: Indian Stretchable Time) nella concezione del tempo permane nell’ambito dei rapporti familiari e amicali e in tutte le situazioni informali. Capita spesso di dare un appuntamento ad un amico indiano e vederlo arrivare anche ore dopo. E’ sempre bene specificare quando si parla e non stare sul vago dicendo: “Ci vediamo sull’ora di pranzo”, oppure “A stasera”. Meglio aggiungere un orario preciso e tenere poi conto dell’assai probabile ritardo con il quale saremo raggiunti al luogo prestabilito. Un’eventuale arrabbiatura, in un contesto informale, risulterebbe bizzarra agli occhi di un indiano, oltre che poco fruttuosa, se il nostro scopo è quello di ottenere puntualità in futuro.
Tempo vuoto/silenzio:
Come accade anche altrove in oriente, il tempo vuoto e il silenzio non sono elementi di disagio per gli indiani che, anzi, godono del “dolce far niente” e lo ritengono parte integrante della giornata. Così il silenzio, che non genera tensioni né small talking di sorta. Non si parla in molte occasioni e la principale differenza che un occidentale, in particolar modo un italiano, potrà notare è che a tavola – uno dei luoghi da noi prediletti per il convivio- in molti casi non si parla affatto. Il silenzio ha, inoltre, una valenza particolare in alcuni momenti o giorni. Nonostante sia diffusa soprattutto negli ambienti tradizionali, dedicare uno o più giorni al silenzio è una pratica antica che aiuta l’autodisciplina e l’introspezione.
(Betto M.)