Nonostante il famoso aforisma di Gandhi secondo il quale tra il fine e il mezzo c’è lo stesso indissolubile legame che c’è tra seme e albero – se mi prefiggo un obiettivo giusto non potrò che perseguirlo attraverso mezzi e metodi che non siano anch’essi giusti -, nella realtà tutto è molto relativo e ciò che è lecito non corrisponde sempre con ciò che è giusto: nella pratica, con la dovuta cautela che questa affermazione richiede, “il fine giustifica i mezzi”.
L’onestà è un valore positivo da perseguire e lodare. Tuttavia, allo stesso modo, il valore non è principio assoluto e, a seconda della situazione, occorre capire fino in fondo a chi “occorre dimostrare assoluta onestà”. Anche in questo caso, entra in ballo la gerarchia.
Come in ogni altra parte del mondo, anche in India la lealtà è un valore positivo, degno di ammirazione e lode. Tuttavia, l’uomo indiano non basa la propria condotta morale su dei precetti assoluti (ce ne sono, è chiaro, ma sono pochi quelli fissi e immutabili). Molto, se non tutto, è relativo e dipende dalla situazione, dal contesto: tutto – anche in ambito morale – viene gerarchizzato. Ad esempio, la lealtà verso un datore di lavoro è certamente da perseguire, ma solo fino a che non cozzi con altri e “più elevati” propositi. C’è poi da dire che molto della condotta morale dipende dai doveri e dai ruoli che tradizionalmente la società indiana attribuisce agli individui in base alla casta di appartenenza, alla loro età, sesso e occupazione.
(Betto M.)